In Arte della delega / Interviste

Questa settimana vi presento Francesca Taddei, specializzata in customer experience

Ci spiegherà come la delega le abbia portato benefici in termini di strategia e come sia importante investire sugli altri per la propria attività

 

Krisztina: Ti presenti con qualche parola?

Francesca Taddei: Sono una consulente specializzata in customer experience, cioè aiuto le persone e le aziende a rendere semplice e felice il loro rapporto con i clienti – con l’obiettivo di lavorare tutti meglio e guadagnare di più. Lo sto facendo da un paio di anni, perché il mio background è aziendale. Ho lavorato all’interno delle aziende con ruoli di responsabilità in ambito commerciale, mercati esteri e customer service/post vendita. Sono anche l’autrice del libro La customer experience. Manuale per migliorare la vita al tuo cliente e a te stesso.

KF: Hai collaborazione esterne nel tuo lavoro di freelance?

FT: In questo momento non ho nessun collaboratore in staff, però conosco molti professionisti che lo stanno facendo e credo che ne siano molto contenti.

KF: Secondo la tua esperienza, anche quella passata aziendale, cosa puoi raccontare sul tema della delega?

FT: Ti racconto volentieri cosa notavo in ambito aziendale. La delega, secondo la mia esperienza, è una delle attività più difficili da portare avanti in azienda. Non lo si vede come un investimento, o come un beneficio, ma spesso come una perdita di tempo. Pensiamo di fare prima se lo facciamo noi, invece di spiegare o insegnare a qualcuno cosa e come farlo. Poi ci dimentichiamo di andare, non dico a controllare cosa fa, ma almeno ad affiancare la persona per spiegarle come andare avanti.

Tutto questo richiede molta energia e tempo, per cui molte figure manageriali hanno difficoltà nell’esercitare la delega. Il tema è diffuso e, certo, dipende da persona a persona. Non farei distinzioni di ruolo, ma di persona. Mi ricordo con simpatia un direttore commerciale che, quando andava in ferie, già il secondo giorno di vacanza chiamava per sapere se tutto andava bene e per controllare.

KF: Secondo te è un problema di fiducia, o di autostima e insicurezza personale, che ci fa sentire costretti a controllare tutto e tutti? Qual è il motivo secondo te?

FT: Il problema parte da un aspetto personale, per cui abbiamo bisogno di controllare quello che succede, generato da un po’ di ansia anche nella vita quotidiana. Parte da questo, dal fatto che ci sia o no l’acquisizione di consapevolezza che certe cose le possiamo lasciare andare o far portare avanti da altri.

KF: Credo che il punto sia anche cosa vuol dire delega, cioè fare per un periodo un investimento e impegnarsi molto sull’addestramento delle persone per poi lasciarle andare del tutto. C’è da  passare questo switch mentale che si può delegare per poi costruirsi una piccola procedura su come procedere con la delega.

FT: Delegare vuol dire che dai fiducia a una persona, credendo che sarà in grado di portare i risultati e mettendo già in conto che non sarà mai come lo fai tu.

A questo punto davanti a te hai la scelta: delego o no? Se non lo fai, rischi di diventare un ostacolo per il tuo business, come un cono di bottiglia: o ci sei tu e le cose vanno avanti, o non ci sei e le cose non proseguono.

E oggigiorno non ci si può permettere questo, di diventare un ostacolo alla crescita della propria attività.

KF: Secondo te quale può essere un punto critico nella gestione della delega?

FT: Certe volte il problema è la chiarezza. Direi che generalmente non siamo abituati a spiegare con chiarezza.

Prima di tutto dobbiamo aver chiaro noi cosa vogliamo, qual è il nostro obiettivo, dove vogliamo arrivare. Dopo di che è facile spiegarlo ad altri. Se io sono chiara su dove voglio andare, cioè da A a B, e poi spiego anche a te perché è importante andare da A a B e ti metto nelle condizioni di farlo, allora il discorso va avanti.

Spesso abbiamo anche difficoltà a dare un feedback sincero e costruttivamente critico, a dire le cose che vanno bene e quelle meno buone.

KF: Il punto forse sta non solo nella comunicazione, ma anche nel maggiore coinvolgimento nella tua attività facendo squadra con te e lavorando meglio per il tuo obiettivo anche con libertà. Dicevi all’inizio che conosci professionisti che lavorano con persone esterne.

FT: Il freelance o il libero professionista all’inizio parte e si prende cura di tutto da solo, un po’ per le limitate risorse economiche e anche per capire meglio i vari aspetti della sua attività.

Non è neanche un male, perché è importante sapere come funzionano le cose, capire come funziona la macchina, acquisire consapevolezza. Ma dopo un po’, a mano a mano che la macchina va più veloce, i casi sono due.

O continui a occuparti tu di tutto, lavorando 24 ore su 24, oppure, se vuoi crescere, inizi a delegare le attività più operative, in cui la tua presenza non porta il valore per cui il datore di lavoro o il cliente ti paga.

Con il beneficio di avere più energia per ciò che è davvero importante, lavorare di più sulla strategia, liberarti dalla pura operatività, guadagnando così anche più tempo per la tua vita personale.

KF: Tra i tuoi contatti hai percepito che ci siano stati problemi di fiducia a coinvolgere altri collaboratori?

FT: No, direi che i freelance, in genere, avendo un’età abbastanza giovane e un pensiero snello e dinamico, sono più interessati a vedere i vantaggi che a essere resistenti al cambiamento e alla collaborazione.

Sono abbastanza lontani dalla mentalità aziendale dove si cresce di più con il timore di dire e di comunicare a qualcun altro ciò che si sa. Sono realtà che vogliono crescere anche con l’aiuto altrui altrimenti sanno che non ce la faranno.

KF: L’esperienza normalmente è positiva oppure si deve tentare diverse volte per trovare il collaboratore?

FT: Credo che un aspetto importante sia la riservatezza: più si cresce come business, più si ha bisogno di trovare una persona riservata, che lavora in ambienti diversi o che ha una certa seniority ed esperienza, e di cui si apprezza anche il background diverso.

Avere l’opportunità di lavorare con una persona che ha lavorato in un’azienda strutturata è un valore aggiunto perché porta competenze nuove.

Il primo vantaggio è di ragionare al livello strategico.

Il secondo vantaggio è quello appunto di portarsi in casa delle competenze. Invece di frequentare un corso, per esempio, hai un collaboratore con cui puoi ampliare le tue conoscenze su temi di business a te meno noti.

KF: Dal tuo passato aziendale ti viene in mente un consiglio su come si può delegare?

FT: Il consiglio che mi sentirei di dare è quello di definire un progetto specifico da affidare, sia in termini di tempo sia di attività, misurabile e concreto. A maggior ragione se è la prima volta che delego, ho bisogno di farlo con una persona con cui sono in sintonia.

In fine dei conti, se ci pensi, non è molto diverso dalla selezione che faccio a un collaboratore che devo tenere accanto a me in ufficio. Ci deve essere sintonia, fiducia, ci devono essere competenze e poi una fase di test.

KF: Di solito si cerca qualcuno che sia allineato con i nostri valori, cosa ne pensi?

FT: Sì, è vero. Per me ad esempio è molto importante avere una persona che rispetti le scadenze, ho difficoltà a collaborare con chi non le rispetta. Programmo molto e non lavoro in emergenza, portandomi avanti per step intermedi che ho bisogno che vengano rispettati anche dall’altra persona. Questo è un aspetto dei miei collaboratori a cui ho sempre prestato attenzione quando lavoravo in azienda.

Un altro aspetto importante è la proattività della persona che ho vicino, che non esegue e basta, cioè ho bisogno di avere accanto una persona ”pensante” a cui posso affidarmi, propositiva, con cui costruire insieme l’obiettivo.

KF: Secondo te questo tipo di  team funziona meglio in un’azienda strutturata o in un’esperienza come freelance/libero professionista?

FT: Talvolta nelle aziende più grandi l’obiettivo delle persone che ci lavorano è quello di guardare più a se stessi e ai propri obiettivi, soprattutto se la cultura del lavoro in team non è radicata.

Mentre per un freelance c’è un aspetto di rischio più alto tutti i giorni, per cui ha maggiore interesse a lavorare in team, c’è maggiore propensione.

KF: Tu in generale cosa pensi della fiducia, sia in modalità virtuale che fisicamente con te in ufficio?

FT: La fiducia la si costruisce insieme, lo sto vedendo con i miei clienti, la si costruisce reciprocamente. Io vedo la consulenza in un modo poco “italiano”, non come un tipo di rapporto fornitore/cliente.

Mi vedo come un partner e lavoro per raggiungere gli obiettivi del cliente che diventano i miei. Quindi parlo francamente da subito, voglio capire quali sono i loro obiettivi, definendoli anche insieme; mi sento proprio un partner. Poi la fiducia so che me la devo guadagnare, come anche loro lo devono fare con me.

KF: Cosa consiglieresti a una persona che inizia a sperimentare la delega?

FT: Consiglierei una fase test con tempi, obiettivi e fasi intermedie definiti dove il rischio di flop, di insuccesso, è calcolato e previsto, in modo da avere la possibilità di conoscersi e di costruire la relazione insieme – spiegando sempre bene quali sono le aspettative.

Poi, dopo la fase test, consiglierei di fare un bilancio, correggendo i punti critici, e interrompendo la collaborazione se il bilancio non risulta per nulla soddisfacente, oppure proseguendola se è positivo.

KF: Un altro aspetto importante è la comunicazione con chi lavora con te e per te. Cosa ne pensi?

FT: Sì, assolutamente. Ti faccio un esempio. Mi è capitato di appoggiarmi a un servizio web per il sito di un cliente. A un certo punto tutto è andato in tilt, compresi la ricezione e l’invio delle email. Ho provato a contattare i vari numeri di telefono dell’agenzia, finché mi ha risposto una persona dell’amministrazione che però non era in grado di passarmi il tecnico che cercavo. Da come parlava al telefono e dalle comunicazioni scritte che ho ricevuto successivamente ho capito che si trattava di una collaboratrice esterna, sembrava che fossero addirittura due aziende diverse!

Ecco, quello che consiglierei a chiunque decida di appoggiarsi a un professionista esterno è di curare non solo la comunicazione interna (tra lui e il suo collaboratore), ma anche – e forse soprattutto – quella con il cliente.

Per il cliente fanno entrambi parte della stessa struttura e quindi si aspetta di vivere la stessa (speriamo positiva) esperienza.

 

 

 

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